1983/84

Coppa delle Coppe

Maglia Juventus Coppa delle Coppe 1983/84

PORTO - JUVENTUS 1-2

Basilea (Svizzera), Saint Jakob Park, 16.05.1984

 

RETI: 13’ Boniek (J); 29’ Sousa (P); 41’ Vignola (J)

 

PORTO: Ze Beto, Joao Pinto, Eduardo Luis (82’ Costa); Jaime Magalhaes (65’ Walsh), Eurico, Lima Pereira; Frasco, Sousa, Gomes; Jaime Pacheco, Vermelhinho - All. Morais

 

JUVENTUS: Tacconi, Gentile, Cabrini; Bonini, Brio, Scirea; Vignola (89’ Caricola), Tardelli, Rossi P.; Platini, Boniek – All. Trapattoni

 

ARBITRO: Prokop (Germania Est)

 

CRONACA: LA JUVENTUS ha vinto la Coppa delle Coppe: viva la Juventus! Gli svizzeri hanno scritto: "Juventus gagne, mais Porto sèduit". Che significa: vince la Juve ma il Porto seduce. Vero anche questo. La rovinosa serata di Paolo Rossi e di altri con lui ha impedito che adesso, trionfati, inneggiassimo al puro italianismo del Trap e dei suoi. Perchè la Juventus avrebbe dovuto vincere per tre a uno o addirittura per quattro a uno: soltanto in questo caso avremmo potuto gonfiare il petto, giustamente fieri di un modulo di gioco ispirato alla tattica più redditizia del mondo. Purtroppo, la Juventus ha soltanto subito nel secondo tempo. Occasioni di segnare in contropiede ne avrà avute una mezza dozzina: e dire che avrebbe dovuto segnare almeno due gol non è per niente esagerato: ma la Juventus non ce l' ha fatta: e allora - per consolarci - dobbiamo soltanto dire che ci resta la soddisfazione di vedere iscritto nel libro d' oro di una competizione interessante anche il nome della più illustre e blasonata squadra italiana. Fra un anno e anche meno, nessuno ricorderà come sia andata la dannatissima finale di Basilea: ma resterà il nome della Juve a significare che, fino a questi anni, la vecchia signora dei campionati non ha mai onorato secondo logica la sua immagine fuori dai confini. Non l' ha onorata nemmeno nel famoso quinquennio, quando era in auge la Mitteleuropa kup, ma i suoi mercenari argentini non volevano saperne di stancarsi anche di estate. Non l' ha onorata nell' immediato dopoguerra, quando ancora i mercenari facevano aggio sull' orgoglio di tutti gli juventini d' Italia, e giungevano all' abominio di prenderne sette al Prater. Poi, mancando una congrua esperienza internazionale, sono state amarissime beffe, cattive figure, parliamoci chiaro: la fidanzata d' Italia si è ridotta al punto da celebrare come grande e memorabile impresa una risicata vittoria in Coppa Uefa. La Coppa Campioni aveva già visto la Juventus finalista a Belgrado contro un avaro e smaliziato Ajax, che l' ha infilata una volta e poi si è rifiutato di stare al gioco, accontentandosi di non lasciarla muovere. Era quella una sconfitta abbastanza logica e nient' affatto umiliante. Ha invece addolorato gli onesti (ripeto, gli onesti, non gli uterini e neppure i baluba) la inopinata sconfitta sofferta l' anno scorso ad Atene. Anche quella era meritata intendiamoci. La Juventus ha avuto la sfortuna di credersi anzitempo in libro d' oro: ma la sua forma è sbollita nell' attesa. Nessuna squadra italiana (e scrivo questo da Milano, non da Brisighella) si era mai comportata come la Juventus delle fasi di qualificazione alla finale di Atene. Aveva disputato incontri bellissimi, in casa e fuori: era dunque lecito confidare, era umano illudersi. Un tiro malerbetto da lontano ha sorpreso Zoff e noi tutti: una stagione d' oro è stata dunque cancellata per un inatteso shot di sinistro sicuramente guidato da un maligno genietto del calcio, non già da Eupalla, nostra amatissima musa.

Che la Juve non sia andata insieme, dopo quell' inopinato tracollo, è merito sublime dei suoi dirigenti. La società ha retto come la squadra. Darla favorita in campionato è apparso logico a chiunque non fosse banalmente illuso. Il campionato è stato puntualmente vinto. Il ventunesimo scudetto si è aggiunto agli altri: una piramide di legittimo orgoglio appetto di altre che superano a stento la sua metà. E adesso entra in libro d' oro anche la Coppa Coppe. E gridare "viva!" è il minimo che si possa. Vale e consiste l' evento di per sè. Resterà il nome Juventus nel libro d' oro della Coppa Coppe e tanto basta. Ma se dobbiamo riandare alla finale, onestà critica vuole che respingiamo subito ogni fatua idea trionfalistica. Il piacevole Porto ha fatto tutto per venire infilato a dovere. Purtroppo, sono disastrosamente mancati i soliti goleadori: primo fra tutti Paolo Rossi, acciaccato e frastornato da un continuo accerchiamento di avversari agili e decisi; poi, il divino Platini, malamente mortificato da ritmi che lo escludevano di acchito; infine, l' impetuoso magnifico Boniek. Il polacco è stato senza dubbio il migliore per intensità di partecipazione e coraggio di gesti atletici: però, ha scontato la foga con improvvisi obnubilamenti sotto misura. Ammirati come eravamo di lui, avremmo preteso altro dal suo indomito cuore. Ahimè: il calcio è dramma completo, che non consente sgarri: l' eroe eponimo non può giungere al lancio con il giavellotto spuntato: Boniek lo ha fatto fino a convincersi (ed è segno di intelligente modestia) che meglio convenisse affidare ai compagni il colpo di grazia: due palloni ha dato a Rossi che gridano ancora oggi vendetta al cielo. I critici di tutta Europa hanno ingiustamente affibbiato a Zè Beto la colpa di una sconfitta che invece non lo tange. Zè Beto ha sventato tante palle-gol quante bastano a confondere i più acri negatori dei meriti juventini. Di questo ci dobbiamo ricordare per non essere ingiusti verso nessuno, nè verso i portoghesi, dagli armoniosi e assidui palleggi, nè verso gli juventini, che l' inferiorità numerica a centrocampo ha messo fin troppo spesso nella condizione di doversi difendere all' italiana. L' Avvocatissimo Agnelli, che riesce ad essere acuto anche nell' esercitare il più efferato snobismo, ha detto del Porto che gioca secondo un modulo vecchio di venticinque anni, ed ha ricordato in proposito l' Uruguay. Sicuramente, ha fatto torto ai nostri maestri degli anni Trenta. Più rispettoso delle nostre podomachie sarebbe stato Giovanni Agnelli se, parlando della sua Juventus, avesse ricordato un' Italia anni 68-70 malauguratamente priva di Luis Riva da Leggiuno. Quante volte non mi è toccato di rimpiangere e invocare rombodituono, assistendo alle asfittiche ribellioni offensive della Juventus? Gigirriva avrebbe fatto di Zè Beto una vittima così bistrattata da rasentare il grottesco. Ahimè, il clangore prodotto da quelle scariche tanto promettenti aveva appena il tempo di trasformarsi in sospiro. Così, tifando Juve come esigono il rispetto del mestiere e l' amore stesso della patria pedatoria, altro non poteva il cronista di parte che dirsi ammirato degli agili e fantasiosi portoghesi con una sola ma valida riserva: che il giocare bene non basta se i temi offensivi si urtano a una difesa di ferro; che giocare bello senza gol significa - eh sì - masturbare calcio. Insomma, che prendano su, gli amici portoghesi, e portino a casa le ammirate lodi di tutti. - da La Repubblica del 17.05.1984

 

AMARCORD DI BENIAMINO VIGNOLA: 

Questa è stata la mia tesi di laurea! Gol capolavoro del quale sto vivendo ancora di rendita. Il ricordo più bello è della Coppa delle Coppe che quella notte ha dormito in camera con me!


Maglia Paolo Rossi